Pasquale Ricciotti
Pasquale Ricciotti nasce a Riccia nel dicembre del 1853 e muore a Roma nel luglio del 1934; la sua infanzia, trascorsa in un ambiente quasi interamente dominato da figure femminili, è sconvolta, a soli nove anni, dal tragico evento del suicidio del padre, episodio che lo segna sia nell’animo che da un punto di vista umano e culturale.
Il suo percorso formativo inizia con le lezioni presso la scuola pubblica comunale tenute da Alfonso Amorosa e poi con quelle private del sacerdote Antonio Fanelli, figura che incide sulla personalità del giovane in quanto, con i suoi racconti delle gesta garibaldine, fa nascere dentro di lui profondi ideali di libertà. Trascorsi poi quattro anni nel Seminario di Cerreto Sannita, si trasferisce a Napoli dove conclude la sua carriera scolastica. Tornato definitivamente nel suo paese natio, inizia ad interessarsi alla vita politica diventando presidente del Casino dell’Unione Liberale, come portavoce e importante punto di riferimento per i liberali del partito di sotto.
La sua partecipazione alla vita pubblica ed amministrativa riccese si interrompe però quando decide, con la sua famiglia di trasferirsi a Benevento, perché umiliato e deluso dall’atteggiamento di coloro che, alle elezioni per il rinnovo della carica di Consigliere Provinciale per il mandamento di Riccia, gli avevano voltato le spalle facendo eleggere Alfonso Fanelli. Nella città sannita si dedica inizialmente all’attività redazionale, per poi diventare fondatore di un proprio giornale, il “Risveglio del Sannio”, nel quale si condannava fortemente la violenza degli operai e si proclamava la repressione delle autorità.
Nel 1893 si trasferisce a Roma e in questo stesso anno si iscrive all’Associazione della Stampa Periodica in Italia; nelle pause dal lavoro di addetto stampa al seguito del deputato Bianchi, si dedica alla realizzazione di due volumi che vengono pubblicati nel 1895, gli Ideali del socialismo e le Malinconie, testo nel quale raccoglie, con stile elegante, ma con animo malinconico, ricordi tristi del passato. La mancata rielezione del Bianchi gli fanno abbandonare il lavoro di addetto stampa per intraprendere la strada dell’insegnamento che percorrerà fra alti e bassi per molti anni.
I continui lutti che hanno contrassegnato la sua esistenza, fino alla morte della moglie e dei due figli Goffredo e Giuseppe, hanno accresciuto dentro di lui quella vena malinconica che lo ha accompagnato da ragazzo e che ha trovato libero sfogo nel romanzo della sua vita: il poema di un’anima.