Origine del nome di Riccia
Lo storico Amorosa, nel suo lavoro di inizio novecento, sostiene che Riccia abbia avuto origine da una colonia romana stabilitasi sul territorio in conseguenza della legge sillana. In un passo delle cronache delle Colonie, Sesto Giulio Frontino annota che “…Aricia oppidum pro lege Sullana …”, da cui il nome Riccia sarebbe semplicemente la riproposizione del luogo di origine della colonia, l’attuale Ariccia laziale.
La Storia di Riccia
Recenti studi condotti sul territorio hanno evidenziato come il suolo riccese fosse abitato già in epoca sannita. I ritrovamenti di tegole, di oggetti di ceramica a vernice nera e scorie ferrose nei siti di Campo S. Pietro, Pesco del Tesoro e Cerignano attestano la presenza di insediamenti sanniti, anche di significative dimensioni, nell’agro riccese.
Lo storico Amorosa, nel suo lavoro di inizio novecento, sostiene che Riccia abbia avuto origine da una colonia romana stabilitasi sul territorio in conseguenza della legge sillana. In un passo delle cronache delle Colonie, Sesto Giulio Frontino annota che “…Aricia oppidum pro lege Sullana …”, da cui il nome Riccia sarebbe semplicemente la riproposizione del luogo di origine della colonia, l’attuale Ariccia laziale. L’”Aricia” romana diventa “Saricia” nei documenti del secolo XII, ed ancora “Ricia” e “Aritiae” durante il secolo XIV, infine “Ritia” nei decreti della Curia del XVII secolo per giungere alla denominazione attuale.
Nel 642 giungono a Riccia gli Schiavoni, scampati all’eccidio del duca Rodoaldo, nella battaglia dell’Ofanto. Le notizie del periodo longobardo e di quello successivo normanno riguardanti l’abitato riccese sono molto scarse e poco attendibili: di certo, sappiamo che nel XII secolo Riccia era feudo ecclesiastico del Monastero dei SS. Pietro e Severo di Torremaggiore. E’ molto probabile che tale condizione si protrasse per tutto il periodo svevo.
All’inizio della dominazione angioina, il feudo riccese venne concesso al famoso giurista Bartolomeo de Capua, primo duca di Termoli ed appartenente alla illustre stirpe dei Conti di Altavilla. Questi, avendo parteggiato per Luigi d’Angiò contro Carlo di Durazzo, fu privato dei feudi, appena il Durazzo ascese al trono, e assegnati a Luigi de Capua (che divenne signore di Riccia nel 1383). A Luigi de Capua succede Andrea De Capua nel 1397. Questi, fu fedele alleato e amico di Ladislao di Durazzo. Il padre, Luigi, generale delle milizie reali era morto per la causa durazziana nell’assedio de Capua. Le vicende storiche di Andrea e della bellissima moglie Costanza di Chiaromonte sono ormai ritenute le pagine più belle di vita medievale tra le mura dell’antico borgo riccese, soprattutto grazie alle vicissitudini legate a queste due figure le cui spoglie sono seppellite nella Chiesa del Beato Stefano.
Costanza di Chiaromonte, figlia di Manfredi di Chiaromonte, Conte di Modica e Ragusa, ricchissimo signore siciliano, possessore di buona parte della Sicilia, era stata concessa in moglie a Ladislao di Durazzo (un vero e proprio matrimonio di interesse). Un accordo che grazie alla ricca dote di Costanza avrebbe permesso alla regina Margherita, madre di Ladislao, di continuare la guerra contro gli angioini in favore del figlio. Le nozze si svolsero nell’agosto del 1390 a Gaeta, città fedele al re. Non passarono neanche due anni, che le sorti avverse della guerra contro l’angioino Luigi II e la perdita di tutti i possedimenti in Sicilia di Andrea di Chiaromonte, fratello di Costanza succeduto al padre Manfredi, fecero mutare le cose. Non più utile alla causa durazziana, con la famiglia sterminata e accusata di tradimento, Costanza fu ripudiata da Ladislao con il consenso di papa Bonifacio IX e confinata in una misera casupola a Gaeta. Fino a quando, Andrea de Capua, la tolse come sposa, avendone da Ladislao concessa anche una dote di 20.000 ducati. Il giorno stesso del matrimonio, si suole tramandare dagli storici, che Costanza, rassegnata ma sempre orgogliosa, avesse pronunciato le seguenti parole: “Andrea De Capua, tu puoi tenerti il più avventurato Cavaliero del Regno, poiché avrai per concubina la moglie legittima di Re Ladislao tuo signore”. Sulla permanenza di Costanza a Riccia, ma anche ad Altavilla, dove nel palazzo comitale fu edificato un nuovo appartamento conosciuto ancora oggi come “Camere della Regina”, sono nate svariate leggende e tanti sono i riccesi che hanno narrato la sua vicenda suggestionati da questa seducente quanto sfortunata figura di donna e regina.
Gli esponenti della famiglia de Capua restano a Riccia praticamente per tutto il del periodo feudale. Con Bartolomeo III i de Capua raggiungono agli inizi del ’500 l’apice della loro fortuna. Bartolomeo ottiene regolare investitura di tutti i suoi beni nel 1506 e viene addirittura nominato Vicerè della Capitanata e del Molise. Impegnato in studi di giurisprudenza, è autore di un libro sulle consuetudini del Regno. Non solo, ma da disposizioni per la costruzione di numerosi palazzi, tra cui quello di Napoli, oggi palazzo Marigliano, la ristrutturazione ed il completamento del castello e la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Riccia dov’è sepolto. Tra i suoi fratelli, vi furono Andrea, Duca di Termoli e signore di Gambatesa e Campobasso, Giovanni, capitano delle milizie aragonesi morto in battaglia per salvare il Re Ferrante cedendogli il proprio cavallo, Fabrizio, arcivescovo d’Otranto. Bartolomeo VI fu l’ ultimo feudatario dei de Capua, ma anche colui che godé per maggior tempo dei suoi feudi, ben 60 anni. Dagli avi ereditò anche il titolo di Protonotario del Regno e si distinse come Colonnello del Reggimento Terra di Lavoro nella battaglia di Velletri (1744), fondamentale per l’inizio della dominazione dei Borboni sul Regno di Napoli, dove fu ferito gravemente ad una coscia. Bartolomeo in seguito a questo avvenimento, con una supplica al re, cercò di recuperare anche i feudi persi a suo tempo dalla sua antenata Costanza di Chiaromonte. Seguì un periodo di vero e proprio sperpero di denaro, con tanto di debiti accumulati. I suoi possedimenti furono affidati a Governatori e a fidati Erari e non poche furono le cause che lo videro coinvolto, tra cui quella contro l’Università di Riccia, dettagliatamente esposta nell’allegazione stampata nel 1736 dal titolo: Ragioni per l’Università della Riccia contro all’illustre Principe utile padron di detta terra. Alla sua morte alla fine di marzo del 1792, non avendo successori in grado, il Regio Fisco incamerava i beni feudali e privati. I conti con la famiglia de Capua, almeno simbolicamente, vennero così chiusi durante la rivoluzione del 1799, con l’assalto e la parziale distruzione del palazzo. Della dimora dei principi di Riccia restò ben poco, nel 1802 le mura ormai pericolanti “minacciavano ruina”. Il colpo di grazia gli fu dato dal terremoto di sant’Anna del 1805. Solo il possente maschio di guardia è arrivato integro fino a noi. Nel periodo successivo all’Unità, dopo il 1848, anche nell’agro riccese imperversano diverse bande di briganti, legate ai nomi di Pelorosso, Varanelli e Caruso. Gli uomini del Varanelli e soprattutto del Caruso continuarono a saccheggiare le campagne dell’agro praticamente fino alla fine degli anni sessanta del XIX secolo.